California, più specificamente la sua Valle Centrale, è la capitale mondiale della produzione di mandorle, ed è un esempio concreto dei cambiamenti che stanno accadendo nel clima e le loro conseguenze. La produzione di mandorle in California costituisce l’80% di tutta la produzione mondiale, e il 100% della produzione commerciale statunitense, quindi 5,100 chilometri quadrati e 1 miliardo 300 milioni tonnellate prodotte annualmente, di un costo di circa 5 miliardi di dollari.
Nonostante la California sia lo stato con il più grande numero di colonie apistiche negli USA, stimati a 740 mila, nel periodo accedente alla fioritura, non bastano nemmeno quelli – quest’enorme industria si appoggia in modo indispensabile sugli apicultori che trasportano le loro alveari da tutti gli altri stati nel mese di febbraio per impollinare gli alberi di mandorla, che non hanno altro modo di essere fecondati. In totale, circa 650 mila arnie sono importate, con un costo di circa 300 dollari ciascuna, portando un guadagno cruciale agli apicoltori (negli USA, infatti, l’impollinazione a un maggiore guadagno rispetto alla vendita del miele per gli apicultori commerciali). Questo fenomeno però ha delle cause esemplari dei cambianti climatici e delle conseguenze gravi.
Infatti, come mai in uno stato che sembrerebbe così accogliente di clima, natura, e piante, le api non sono abbastanza per impollinare gli alberi di mandorla naturalmente?
Innanzitutto, la grandezza dell’industria di mandorle è eccessivo per le risorse naturali dello stato, ma dall’altra parte, la siccità prolungata di California porta all’impossibilità di nutrire tutte le api necessari. È da intorno all’anno 2000 che gli stati al sudovest degli USA stanno vivendo un periodo di megadrought, la cosiddetta siccità prolungata, caratterizzata da un livello costante di precipitazioni più basso rispetto al normale, in termini ecologici. Nonostante ogni anno più o meno ci sono delle torrenti di pioggia, questi non sono sufficienti per compensare il danno di anni di poche precipitazioni. E quindi, la soluzione – importare le api.
Tuttavia, questa soluzione non è del tutto sicura perché le api devono affrontare dei problemi di sopravvivenza legati sia all’ambiente che ai cambiamenti climatici. Il conflitto pesticidi-impollinatori è molto sentito negli USA per il modo in cui viene affrontata l’agricoltura – con quantità di produzione grandissime, spesso della stessa piante in zone altamente concentrata, portando a una alta vulnerabilità alle pesti e quindi un uso alto di pesticidi, tanti di cui uccidono anche le api. È uno dei motivi per cui gli apicoltori perdono in media il 40% per cento delle loro colonie ogni anno. Però un altro motivo importante, documentato per la prima volta nel 2006, è anche il colony collapse disorder, o sindrome dello spopolamento degli alveari (SSA), di cui il motivo non è ancora ben definito, ma può anche essere che sia per il modo in cui le api vengono usate negli USA – senza l’ibernazione estiva, gli api sono spostati in continuazione da uno stato all’altro in base alle necessità d’impollinazione e temperature per poter sfruttare la produzione del miele senza sosta. L’impatto di questo tipo di apicoltura non è definito, però è probabile che la mancanza di riposo sia uno dei motivi per il SSA.
Questi fattori di stress sulle api, anche quelle domestiche, che sono già la soluzione provvisoria per il problema di mancanza di impollinatori, portano scienziati come Barbara Bar-Imhoof e il suo marito Boris Baer al Center for Integrative Bee Research (CIBER) all’Università di California, Riverside, a cercare di creare un’ape ibrida con caratteristiche delle api melliferi d’Europa.
L’idea è quella di cercare un’ape che risponderebbe alle esigenze climatiche della siccità, lavoro costante (e quindi senza ibernazione), e capace di riconoscere odori dei pesticidi. Non è una strada sicura, ma è la migliore trovata al giorno di oggi, però le critiche non mancano, perché gli effetti collaterali di questo nuovo genere d’ape non sono conosciute, e il problema più grande – il cambiamento climatico – continuerà in ogni caso a sfavorire sempre di più la vita di questi piccoli impollinatori.